Viene definito “vedovanza” lo stato in cui si trova un coniuge al momento della morte dell’altro. Questo termine deriva dall’appellativo assunto dal partner sopravvissuto, che è appunto quello di vedovo/vedova. Esso rimane tale finché non convoglia eventualmente a nuove nozze. La condizione di vedovo/a cambia a seconda della struttura sociale: nelle società a tradizione patriarcale i vedovi godono di maggiori diritti e libertà rispetto alle vedove. In passato era in vigore presso alcune popolazione orientali l’usanza che il coniuge superstite, soprattutto se si trattava di una vedova, dovesse seguire il coniuge defunto nell’aldilà. Anche in Italia fino a poco tempo fa e nelle comunità più tradizionali fino ad oggi, le donne vedove sono solite vestirsi con abiti neri per tutta la vita e dal momento che non sono più sottoposte al volere del marito perché deceduto, si sottopongono a quello dei figli o dei fratelli maschi.
Andiamo a focalizzare, secondo i più recenti studi della scienza, quali sono gli elementi che contraddistinguono la vedovanza prendendo in considerazione gli effetti che ha sul coniuge questo accadimento della vita.
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È vero che le donne dopo la morte del marito rifioriscono?
Sembrerebbe proprio di sì. Da uno studio italiano condotto presso l’Università di Padova e pubblicato sul Journal of Women’s Health, per le donne over 65 la vedovanza risulta un vantaggio in termini di salute: le anziane che hanno perso il consorte appaiono, infatti, più ”forti” delle coetanee che hanno ancora la fortuna di avere il marito accanto, soffrono meno di malattie croniche e hanno un ridotto rischio di morte. Al contrario la salute degli anziani maschi è protetta dal matrimonio, gli uomini sposati risultano essere più forti rispetto ai coetanei celibi o vedovi, hanno meno condizioni di “fragilità” che comportano un maggior rischio di malattie croniche, disabilità e morte. I ricercatori ipotizzano che tale risultato sia la conseguenza diretta del fatto che la vita coniugale tende ad essere più gravosa e stressante per la donna anziana che ha tradizionalmente “le redini” della gestione domestica.
Non posso vivere senza di te
Una ricerca condotta in Scozia dalla St. Andrews University e che ha coinvolto ben 58 mila coppie mostra che il 40% delle donne e il 26% degli uomini che sopravvivono al loro partner muoiono entro i tre anni successivi. Addirittura nei casi in cui la coppia viveva in modo quasi simbiotico, l’effetto di vedovanza è talmente forte che nel 12% dei casi il partner sopravvissuto muore nell’arco delle 24 ore. A risentire più dello choc emotivo e dello stress dovuto alla perdita di una persona cara sono soprattutto le donne: le ragioni sembrerebbero risiedere nelle catecolamine, particolari ormoni che vengono rilasciati dalle ghiandole surrenali in situazioni di forte stress, a cui le donne sono più sensibili, e che provocherebbero quello che comunemente viene chiamato il crepacuore.
Qual è le difficoltà principale dopo la morte del coniuge?
Ridefinire il proprio ruolo sia verso sé stessi che verso la società è un passaggio obbligato anche se non voluto. Le sicurezze a cui il partner era abituato svaniscono con la morte del coniuge e si devono reinventare ruoli e aspettative (ad esempio un vedovo può dover imparare a cucinare o una vedova mantenere la famiglia). Quello che più colpisce però è il senso di solitudine che accompagna le giornate e le scelte, che fino a poco prima venivano condivise con il partner. Anche la vita sociale può non essere d’aiuto, soprattutto se la cerchia degli amici è composta da coppie che si frequentavano assieme. Meglio cambiare aria o frequentare amicizie personali.
Rifarsi una vita
Secondo una ricerca effettuata negli USA dal dott. Colin Murray Parkes, c’è una differenza fra uomini e donne nel rifarsi una vita: gli uomini tendono a risposarsi di più e in meno tempo rispetto alle donne. Dopo un anno di lutto, le donne rimangono fedeli al coniuge defunto, tanto che alcune di loro continuavano a considerarsi sposate al marito morto. Un secondo matrimonio è poco frequente per le vedove e diminuisce con l’aumentare dell’età.
Per quanto riguarda gli uomini invece, la maggior parte dei vedovi pensa presto all’idea di risposarsi. Dai dati della ricerca risulta che alla fine del primo anno la metà dei vedovi intervistati o si erano già risposati o stavano per farlo, questo anche a seguito di una maggior insofferenza di fronte all’assenza di rapporti sessuali riferita dai vedovi maschi.
La presenza oltre la morte
Anche dopo la morte del coniuge, molti vedovi/e continuano a sentire la sua presenza, come un angelo protettore che veglia dall’aldilà sul sopravvissuto. È un’esperienza che porta positività nella vita della persona perché gli permette di soffrire meno, è come se il partner fosse ancora vivo, ma fosse cambiato solo il modo di essere presente. Si instaurano con lui/lei veri e propri dialoghi interiori e spesso si colgono dei segni che dimostrano che la persona con lo spirito ci è ancora vicina. A volte fa bene individuare un luogo specifico dove trovare l’altro. Questa reazione permette al vedovo/a di non sentirsi solo e di continuare ad avere un interlocutore con cui interfacciarsi e andare avanti nelle piccole scelte e faccende quotidiane.
Antonella Besa
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