Mio figlio che è noto in tutto la scuola per essere una figura mitologica metà gnomo e metà panzer tedesco della Seconda Guerra mondiale, terrore degli acquari e flagello di tutto ciò che riporta la scritta “maneggiare con cura, fragile” (miei zebedei compresi). L’altra domenica in centro è rimasto una ventina di minuti imbambolato, con la bocca aperta e gli occhi sgranati a guardare il presepe di una vetrina. È stato immobile a fissare il lento movimento del panettiere che infornava il pane nella botteguccia sottostante la grotta. Osservava, incantato, il fuoco a led del camino del locandiere, il ruscello di acqua che scorreva in pianura dalla collina di carta roccia, le piccole barche ormeggiate nel porto che ondeggiavano su di un lenzuolo azzurro e le lucine dietro un velo blu che si riflettevano nei suoi occhioni. Che poesia…
Ecco, io non so se abbia capito la differenza tra i personaggi del presepe o quelli dei Lego Ninjago, che cercava ostinatamente di mettere vicino ai pastori, sta di fatto che per mezz’ora è rimasto lì, tipo mosca sulla carta moschicida, con l’irrefrenabile voglia di toccare tutto, dal muschio all’acqua dell’abbeveratoio delle vacche…
E come dargli torto! Altro che ps4! Altroché Lego e Playmobil!
Un presepe in ogni casa ci vorrebbe e con un unico gesto hai insegnato religione (che si sia cristiani o meno, è parte della nostra storia e della nostra cultura), storia, astronomia, educazione ambientale (il presepe è fatto con materiali di riciclo e poveri), empatia (è nato un bambino al freddo e povero… e quanto ce ne sono oggi!), multietnico (i Re Magi) ed infine la famiglia, intesa non nel senso riduttivo di uomo, donna e bambino, ma stupore, rispetto per la vita nuova… ogni bambino che nasce in fondo è Gesù Bambino.
Il presepe è, a mio avviso, il più moderno, ecosostenibile strumento didattico inclusivo pedagogico!
Piace a tutti, grandi e piccini: troverai più facilmente chi non ama l’albero di Natale, ma non il presepe, quello no, piace a tutti perché ha echi lontani, che scavano nella nostra infanzia, perché sa di tradizione e di quello struggente passato fatto di persone e atmosfere che non ci sono più e che ogni anno vogliamo far rivivere a Natale.
Il presepe è la metafora della nostra vita: siamo nel presente, ma veniamo da lontano; cerchiamo di rinnovarci un po’, come quando si compra qualche statuetta nuova, rimanendo sostanzialmente sempre noi nella struttura; nascondiamo i nostri affanni, come quando incolliamo un pezzetto di muschio che manca o copriamo la lampadina che si è fulminata; andiamo avanti con qualche crepa come le statuine che ogni anno sono sempre più beccate, o incolliamo la zampa della pecorella rotta, perché, nonostante tutto, è bello cercare di aggiustare le cose, fare tutto per esserci.
A Natale conta esserci, è già pieno di così grandi assenti!
Lisa Coccioli
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