Quando si parla di bullismo si pensa principalmente all’ambito scolastico.
Il primo studioso del fenomeno fu Olweus, uno psicologo norvegese degli anni 70, che si occupò di analizzare il fenomeno tra ragazzi in età preadolescenziale ed adolescenziale.
Egli definì il bullismo
[quote]…una o più azioni ostili ripetute nel tempo, che vengono messe in atto all’interno di una relazione in cui vi è una persona che è fisicamente e psicologicamente più forte rispetto ad un’altra.[/quote]
Olweus si occupò di indagare a lungo le dinamiche relazionali messe in atto tra ragazzi. Individuò diversi attori in gioco: il bullo, ovvero colui che mette in atto la prepotenza psichica o fisica; la vittima, colei che la subisce; gli aiutanti del bullo, coloro che, concretamente appoggiano il leader; i sostenitori del bullo, ovvero i compagni che mostrano assenso e supportano anche solo con uno sguardo il bullo; i difensori della vittima, coloro che prendono le sue parti e la difendono; gli astanti, cioè tutte quelle persone che non prendono alcuna posizione.
Senza entrare eccessivamente nel dettaglio, quello che preme sottolineare è l’importanza della definizione data da Olweus, in quanto descrive una dinamica relazionale che può essere estesa ad un ambito molto più ampio a quello scolastico.
Bullismo ed ambito domestico: gli attori in gioco
Come detto precedentemente, la definizione di bullismo di Olweus può essere applicata a diversi ambiti. Prendiamo in considerazione l’ambito domestico. Possiamo identificare :
– i genitori nella figura del bullo, qualora mettano in atto una prepotenza di tipo psichico nei confronti di un figlio;
– il figlio nella vittima, in quanto può incarnare la parte che subisce la prepotenza psichica.
Inoltre, la relazione tra i due, è senz’altro asimmetrica.
Ci possono poi essere:
– i sostenitori e gli aiutanti dei genitori-bullo (ad esempio, nonni o altri parenti, o amici, o gli insegnanti), che possono fomentare il loro pensiero e che possono intervenire in modo più o meno diretto;
– i sostenitori del figlio-vittima (che possono essere amici, parenti, fratelli), che sostengono la causa del ragazzo;
– Infine, coloro che cercano di rimanere fuori da questa dinamica (fratelli, conoscenti, etc).
Esempi di bullismo a casa
Può capitare che un genitore (o entrambi), anche senza rendersene conto, possa assumere degli atteggiamenti bullizzanti nei confronti del proprio figlio. Ecco alcuni casi in cui questo può manifestarsi.
1. Investimento di aspettative elevate sui proprio figli. In questo caso, un atteggiamento o comportamento ostile può manifestarsi con un forte pressing, una scarsa capacità di ascolto. Un esempio è senz’altro il caso in cui un genitore desidera che il proprio figlio eccella a scuola, o scelga una determinata scuola, o sia il primo in qualche sport o disciplina.
2. Uno stile educativo eccessivamente rigido ed autoritario, che non lascia spazio alla libertà di pensiero e di azione del ragazzo. Questo si traduce in una repressione delle potenzialità espressive e creative del proprio figlio, che è costretto a seguire in modo ligio ed intransigente i dettami genitoriali. Ad esempio, qualora il genitore imponga al figlio il proprio credo politico/religioso/alimentare, senza tenere in considerazione il pensiero del figlio.
3. Stile comunicativo: urlare, ricattare, minacciare, mettere in punizione,…sono tutti aspetti che, se reiterati ed estremizzati, possono rientrare in questa categoria.
4. Favorire un figlio rispetto un altro, può sempre rientrare all’interno di questa dinamica. Questo perché crea un clima di tensione e di scarsa fiducia nelle capacità del figlio non “designato”, che può impattare negativamente sulla sua vita.
5.Utilizzare /chiamare in causa il figlio nelle liti con il proprio partner (ad esempio, per difendersi, per coalizzarlo contro il partner, per scaricare su di lui una colpa, etc).
Alcuni suggerimenti
Un primo passo da parte del genitore è senz’altro chiedersi se si sta mettendo in atto uno o più tipi di questi comportamenti e, successivamente, chiedersi perché. La consapevolezza e l’auto-osservazione/riflessione sono fondamentali per intervenire precocemente sull’atteggiamento. È fondamentale poi parlare con il proprio figlio, cercando di mantenere un dialogo quanto più aperto possibile e non giudicante.
NOTA BENE
Questi sono tutti esempi di dinamiche relazionali “normali”, ovvero che possono nascere all’interno di un contesto familiare quotidiano e che non sfociano in violenze fisiche e psichiche gravi (in quel caso si parla di maltrattamento o abuso). Sono suggerimenti rivolti ai genitori per evitare di stressare eccessivamente i proprio figli o di sminuire le loro potenzialità, cercando di favorire un maggior clima di apertura e dialogo.
dott.ssa Giulia Parise